• Quel vagone non è un baraccone, ma un monito contro il razzismo e i populismi

    Il vagone che ricorda il viaggio di Primo Levi verso Auschwitz non è un “baraccone” e la volontà di tenerlo esposto di fronte a Palazzo Madama non è “una pagliacciata”. Torino è città che si è distinta durante la lotta per la liberazione del nostro Paese dal nazi-fascismo e noi siamo orgogliosi di mettere in mostra i simboli di un periodo che non dobbiamo dimenticare. In questi giorni infatti è in corso un dibattito che è stato scatenato dalla decisione del sovrintendente ai Beni architettonici del Piemonte, Luca Rinaldi, di limitare l’esposizione del vagone che ricorda la Shoah in piazza Castello a Torino.

    Quel vagone è il simbolo della più grossa persecuzione e discriminazione mai fatta ai danni dell’umanità. Su quei treni salivano gli ebrei, gli omosessuali, gli zingari, gli oppositori politici e minoranze religiose. Io non credo che in nome dell’estetica, del decoro pubblico, si possa accettare di mettere da parte la nostra storia. È soprattutto una questione culturale. Oppure vogliamo fare passare l’idea che in quella piazza può stare qualunque cosa, meglio se con uno sponsor alle spalle, ma non la memoria della nostra città?

    Quel vagone non è stato esposto al Museo Ferroviario perché è giusto che chiunque possa vederlo e ricordarsi di cosa è stato il dramma della deportazione nazi-fascista e lo possa tenere bene a mente. In giorni come questi è ancora più importante perché la paura e la precarietà della vita che molti nostri concittadini sono obbligati a vivere sono gli strumenti che vengono utilizzati dalla politica xenofoba e razzista che soffia sul vento dell’intolleranza. Noi dobbiamo combattere questo pericolo con tutti i nostri mezzi. Siamo sicuri che il sovrintendente capirà e comincerà ad apprezzare anche lui quel vagone.

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