• Rifondiamo il campo della sinistra senza “ma anche”

    Noi l’avevamo detto. E’ sempre una magra soddisfazione.

    Con il governo Letta e il precedente voto, propedeutico a questo esito, del presidente della repubblica, il progetto del Partito Democratico mostra la corda, essendosi sfaldate le ragioni costituenti comuni e condivise, e a cui in questo momento sembra sopravvivere solo l’involucro.

    Nei Democratici di Sinistra avevamo affrontato la prospettiva della nostra confluenza in un unico soggetto con la Margherita, in un estenuante dibattito se venisse prima il contenitore o il contenuto. Chi non ha condiviso questo percorso, come la sottoscritta, lo ha considerato una fusione a freddo fra due soggetti diversi, che non avrebbe portato a una progettualità compiuta.

    Questa indefinitezza può essere simbolicamente rappresentata dal “ma anche”, che ha riassunto molto efficacemente l’incapacità di assumere posizioni chiare su molte questioni centrali. Una caratteristica ha invece sempre accompagnato il Partito Democratico senza ambiguità: l’antiberlusconismo.

    Un elemento riaffermato con grande evidenza anche nella campagna elettorale delle ultime elezioni politiche, quando Silvio Belusconi è ricomparso prepotentemente sulla scena politica. E tra l’altro condiviso anche da Scelta Civica, con Monti che prese nettamente le distanze dal PdL che aveva comunque sostenuto il suo governo.

    E’ naturale quindi che le larghe intese, il governo Pd-PdL-Scelta Civica, mettano in crisi il Partito Democratico, se non nei suoi dirigenti, nel corpo diffuso dei militanti e dei simpatizzanti, che non sentono come ineluttabile la scelta del governissimo, nonostante la campagna mediatica a suo sostegno.

    E’ paradossale infatti che un’emergenza venga tradotta nell’opportunità della “pacificazione nazionale”, della necessità di superare le differenze, le divergenze. Ciò non fa altro che rilegittimare Sivio Berlusconi, lasciandogli in mano la decisione di quando tornare al voto, nel momento al PdL più propizio.

    Alternative esistevano che insediassero un governo che potesse lavorare immediatamente alle emergenze economiche e a una nuova legge elettorale, per poi tornare rapidamente al voto.

    In questo modo il Pd avrebbe mantenuto fede al mandato avuto dai propri elettori con il programma di Italia Bene Comune, nell’alleanza con Sinistra Ecologia Libertà, pur prendendo atto di essere stato sconfitto dal voto.

    Ora il campo del centrosinistra è devastato: il Partito Democratico si è spostato al centro, non essendo più ancorato a sinistra con il programma e l’alleanza elettorale.

    SEL in queste settimane sembra aver aumentato il proprio consenso per avere al contrario mantenuto un comportamento coerente, ma è chiara la necessità di rivedere la progettualità, in una rifondazione del campo della sinistra, con tutti coloro che siano interessati, a partire dallo stesso Pd. L’auspicio è infatti che non si chiuda su se stesso in uno scontro tra le truppe dei potenziali leader, ma si apra ad un confronto vero, prendendo atto della necessità di rimettersi in gioco poiché niente può essere più come prima dopo le elezioni di febbraio. Ciò vale anche per il M5S per cui si pone il problema dell’efficacia dell’azione politica, seppur in un contesto per lui ideale che è quello del cosiddetto inciucio.

    Noi abbiamo la consapevolezza che gli ultimi sviluppi abbiano mortificato la domanda di cambiamento; nello stesso tempo il governo Letta converge su un centro, un “moderatismo”, che è risultato sconfitto dalle urne.

    La nostra priorità deve essere dunque quella di lavorare innanzi tutto a colmare questa distanza tra il popolo della sinistra e ciò che sta avvenendo nei palazzi della politica, prima ancora di elaborare un nuovo progetto che dovrà necessariamente partire dalla saldatura di questa frattura.

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