• Questa volta siamo entrati dentro le gabbie: il senso di oppressione che ti prende non si può descrivere. I CIE sono carceri a cielo aperto da chiudere

    Questa volta siamo entrati dentro le gabbie: il senso di oppressione che ti prende dopo pochi minuti non si può descrivere. I Centri di Identificazione ed Espulsione sono carceri a cielo aperto da chiudere

    Le ultime due rivolte all’interno del CIE sono avvenute a fine febbraio e a metà marzo. In quelle occasioni è stato appiccato il fuoco all’interno di alcune aree del centro rendendole in parte inutilizzabili. E’ per questo che venerdì 22 marzo, giorno della nostra ultima visita sul luogo, erano presenti all’interno della struttura “solo” 49 ospiti (38 uomini e 11 donne) rispetto ai 200 circa che sono presenti solitamente.

    Ci hanno spiegato che la differenza rispetto al numero di ospiti presenti all’interno del CIE fosse dovuto proprio alle rivolte. La struttura torinese è composta da cinque aree ed in ognuna di esse vi sono 35 posti letto circa. Siamo entrati all’interno di queste aree e abbiamo potuto constatare con i nostri occhi i danni subiti dai caseggiati. Il personale che ci ha accompganato nella visita (CRI, Questura e Polizia) ci ha spiegato in che modo avvengono le rivolte e cosa rischiano gli ospiti che vengono ritenuti colpevoli degli incendi: possono incorrere in una pena che va dai 3 ai 7 anni. Ad oggi sette persone sono state arrestate in relazione al primo incendio e undici risultano in fase di indagine in relazioni ad altri due episodi.

    Abbiamo anche visitato l’area del centro che è stata recentemente ristrutturata e che adesso è pronta per essere aperta. I tavoli non sono più composti di plastica e metallo e ancorati al pavimento, ma sono veri e propri banconi in cemento.

    Per non lasciare spazio a possibili fraintendimenti, allo stato delle cose chi oggi viene colto in stato di clandestinità sul nostro territorio non verrebbe lasciato libero, ma verrebbe indirizzato dal Ministero dell’Interno in altri CIE sparsi sul territorio nazionale.

    Siamo usciti dalla struttura con ancora più forte la convinzione che questi centri debbano essere chiusi: sono luoghi ingiusti che esistono a causa di una legge barbara che deve essere superata e sono un costo per la comunità. Ad oggi all’interno del CIE di Torino il personale è presente in quantità direttamente proporzionale alla capienza massima che può contenere la struttura: nonostante vi siano 150 ospiti circa in meno rispetto alle precedenti visite che abbiamo effettuato, il personale è presente nelle stesse quantità. Oltre che una spesa anche un paradosso davanti alle difficoltà che le forze che gestiscono la sicurezza hanno denunciato in questi anni.

    Il nostro impegno è volto al superamento di queste strutture e del concetto culturale che custodiscono: siamo convinti che anche per questo sia necessario formare un Governo che sia in grado di affrontare questi argomenti. Facciamolo subito, facciamo adesso.

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