La nostra Riforma del Lavoro non è la flessibilità di Ichino, nè i licenziamenti di Cellino
Se la soluzione che i professoroni continuano ad indicare per la disastrosa situazione del mercato del lavoro in Italia è maggiore flessibilità e libertà di licenziamento, vuol dire che non hanno capito nulla del Paese che li circonda e che nemmeno si sforzano di osservarlo.
Il Professor Ichino, che sarà questa sera a Torino, dovrebbe ricordare come il concetto di flessibilità introdotto nel nostro Paese da Berlusconi, si sia trasformato nel tempo di uno sternuto in precarietà: vuole per caso rendere ancora meno sicuro il futuro ai giovani italiani? Oggi in Italia ci sono 46 forme contrattuali: è inaccettabile. Dobbiamo lavorare per ridurre il loro numero.
Subordinati, para subordinati, speciali, autonomi, partite iva, a progetto: i nostri giovani non sono più distinti per la loro professionalità e preparazione, ma per il tipo di assunzione. E ci permettiamo di aggiungere che le provocazioni, come quelle di Cellino dell’API di Torino che propone di assumere due nuove lavoratori per ogni fannullone licenziato, non dovrebbero neppure diventare oggetto di discussione: in un sistema del lavoro azzoppato non si dovrebbe neanche scherzando immaginare un ulteriore strumento per facilitare il licenziamento delle persone.
L’ISTAT oggi rivela che le retribuzioni contrattuali orarie nella media del 2012 hanno subito la crescita media annua più bassa dal 1983. Questo Paese ha bisogno di carburante: lavoro, risorse economiche, meritocrazia, formazione, preparazione scolastica ed entusiasmo. Gli italiani non hanno bisogno di maggiore flessibilità, ma di stabilità.