• Torino ricordi i “Martiri di Portopalo”, in memoria di tutte le vittime del Mediterraneo

    In questi giorni, si è consumata una nuova tragedia del mare con decine di migranti uccisi tra Malta e Lampedusa. La nostra città sta vivendo da vicino il dramma dei profughi che invece sono riusciti ad arrivare nel nostro Paese e attualmente sono ospitati nell’ex clinica San Paolo, cercando di trovare loro una nuova sistemazione adeguata.
    Torino può lanciare un messaggio forte alla comunità italiana, in risposta alla cultura che punta all’indifferenza nei confronti della strage continua, che si sta consumando nelle acque del Mediterraneo, ad opera di trafficanti di persone, che nel tentativo di conquistarsi una vita migliore, scappano dalla fame, dalle guerre, dalla povertà. Chiediamo perciò al Consiglio Comunale di Torino di intitolare una via o una piazza ai “Martiri di Portopalo”, in memoria di una tristissima vicenda, che presenta alcune impressionanti analogie con il dramma di questi giorni.
    Il naufragio della nave F174, avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 dicembre 1996, costituisce la più grande tragedia navale del Mediterraneo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il naufragio è conosciuto con il nome di “Tragedia di Portopalo”, perché avvenuto a poche miglia dalla località siciliana di Portopalo di Capo Passero, in provincia di Siracusa. Nel naufragio persero la vita 283 persone.
    La nave trasportava clandestini provenienti principalmente da India, Pakistan e Sri Lanka, convogliati verso il porto del Cairo. Qui, dopo aver versato circa un migliaio di dollari a testa ai trafficanti di esseri umani, vennero imbarcati sulla nave “Friendship”. La nave però non venne fatta partire perché si attendeva l’arrivo di altri clandestini per poter raggiungere il pieno carico. Dopo 12 giorni di vana attesa, i clandestini vennero trasbordati su un cargo battente bandiera honduregna, la nave “Yohan”, che partì con 470 persone a bordo. Le condizioni di vita a bordo della nave erano pessime: i passeggeri rinchiusi nella stiva avevano pochissimo cibo e acqua a disposizione.
    Alcuni giorni prima di Natale, la “Yohan” entrò in un porto siciliano pronta per lo sbarco, ma intercettata dalla guardia costiera si diede alla fuga, raggiungendo il largo. I trafficanti decisero allora di aspettare una nave più piccola per il trasferimento a terra.
    La nave, un battello maltese dal nome F174, arrivò nella notte tra il 25 e il 26 dicembre con già 50 persone a bordo. Si trattava di un’imbarcazione in pessimo stato, in legno e con i sistemi di sicurezza fuori uso. I passeggeri dello “Yohan” salirono in massa sul battello maltese, lungo 18 metri, fino a che la nave non cominciò a dare segni di instabilità. I trafficanti decisero allora di effettuare due viaggi per trasportare tutti i passeggeri e la F174 ripartì con circa 400 persone a bordo, non accorgendosi però di uno squarcio sulla prua apertosi dopo un urto con la “Yohan” nelle operazioni di trasbordo.
    Il battello iniziò a imbarcare acqua, e resosi conto di non poter raggiungere la costa siciliana chiese aiuto alla “Yohan”. Il cargo giunse in pochi minuti ma a causa del mare in burrasca si scontrò con la F174 che affondò. Solo una trentina di persone, tra cui il comandante greco, si salvarono sui mezzi di soccorso lanciati dalla “Yohan”.
    In 29, aggrappandosi alle funi della “Yohan”, riuscirono a salvarsi. Il trafficante di uomini che pilotava quest’ultima nave non lanciò l’Sos, ma fuggì facendo rotta verso la Grecia, dove scaricò gli uomini e scomparve. Una volta a terra, nessuno credette alle testimonianze dei superstiti, che furono arrestati.
    Un muro di omertà ha coperto per anni la tragedia. Del naufragio non furono trovati corpi perché man mano che i pescatori di Portopalo li trovavano nelle loro reti, subito li rigettavano in mare, omettendo sistematicamente di denunciare il ritrovamento alle autorità, nel timore di vedere bloccata la propria attività di pesca nel tratto di mare interessato.
    Solo un pescatore, Salvatore Lupo, trovò il coraggio di rivelare ad un giornalista, che indagava sulle voci legate ad una “nave fantasma” che sarebbe affondata al largo delle coste siciliane, di aver trovato nelle sue reti pantaloni, magliette, scarpe, monete e una carta d’identità di un Paese straniero, scritta in caratteri incomprensibili. Era quella di Anpalagan Ganeshu, 17 anni, tamil, di nazionalità singalese. Anpalagan era uno dei viaggiatori a bordo della “Yoahn”.
    Questa strage, come tutte le successive, dovrebbe rammentare ad un paese di migranti come l’Italia le proprie origini, e la propria responsabilità all’accoglienza, alla cura, alla memoria.
    Abbiamo il dovere di ricordare queste vittime senza nome, come se fossero nostri caduti.

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