• Impatto di genere come leva di sviluppo

    Il Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS)  ha riscontrato violazioni del diritto alla parità di retribuzione e del diritto alle pari opportunità sul luogo di lavoro in 14 dei 15 paesi che hanno accettato di applicare la procedura dei reclami collettivi della Carta sociale europea. Solo la Svezia è risultata in linea con i principi contenuti nella Carta. Il ricorso è stato presentato dall’ONG internazionale University Women Europe (UWE).

    Nessuno stupore che l’Italia invece sia inadempiente. Vengono individuate come carenze principali non tanto quelle legislative, ma la mancata trasparenza salariale nel mercato del lavoro, l’assenza di vie di ricorso efficaci e l’insufficienza dei poteri e mezzi conferiti agli organismi nazionali per la promozione della parità di genere.

    Quest’ultimo è un aspetto molto sottovalutato, che finisce di confinare le commissioni pari opportunità ai diversi livelli in posizioni residuali per poteri e risorse, quando invece questi organismi potrebbero verificare a priori l’impatto di genere delle politiche, prima di attuarle, affinché si colmi concretamente il gender gap denunciato.

    Sappiamo da tempo che non esiste un unico ambito in cui agire, ma è necessaria la combinazione di diverse azioni che incidano praticamente e culturalmente.

    Da decenni continuiamo a considerare come ostacolo da superare la segregazione orizzontale, che vede le donne concentrate  in determinate attività economiche o in determinate occupazioni. La scarsa presenza femminile nelle discipline STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), seppur con qualche miglioramento negli ultimi anni, rischia di tagliare fuori le donne dal lavoro del futuro, in cui sempre di più faremo i conti con la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale.

    Sulla segregazione verticale, vale a dire il fatto che sono troppo poche le donne che occupano le posizioni dirigenziali e decisionali meglio retribuite all’interno delle aziende, qualcosa è stato fatto. In Italia,  l’introduzione di misure legislative vincolanti per garantire la parità di accesso ai consigli di amministrazione delle imprese, applicando un sistema di quote e fissando obiettivi specifici nel settore pubblico e in quello privato, destinati a promuovere la parità, ha determinato dei cambiamenti significativi, a dimostrare che questo tipo di misure funzionano.

    Ora però, sfruttando l’occasione delle ingenti risorse messe in campo per il superamento dell’emergenza Covid-19, si potrebbero effettivamente costruire politiche diverse, valutandone innanzi tutto l’impatto di genere. Così si andrebbe ad incidere su una delle diseguaglianze più pesanti, in termini di equità, pari opportunità, ma anche di crescita della ricchezza in generale.

    Secondo le stime del Fondo Monetario, l’aumento dell’occupazione femminile fino a quella maschile comporterebbe per il nostro Paese un aumento del PIL dell’11%, senza andare a considerare altri indici che misurano più efficacemente il benessere delle persone.

    E’ da tempo che queste considerazione sono note, ma rimangono confinate tra le addette ai lavori, nell’ultimo capitolo dei programmi, spesso aggiunto per essere politicamente corretti, così come vengono integrate al femminile le task force, ma senza che incidano trasversalmente sulle diverse azioni in campo.

    Non possiamo fermarci all’indignazione sacrosanta per l’ingiustizia, o al contrario affermare che il problema non esiste e che non ci siano differenze se le persone valgono, oppure chiederci cosa possiamo fare. E’ chiaro come si dovrebbe agire.

    Ma l’agenda delle priorità non contempla queste azioni, se non appunto come atto dovuto, in fondo all’elenco, in modo staccato dalle altre iniziative, quando invece l’impatto di genere dovrebbe essere uno dei criteri di valutazione sempre adottato. Una consapevolezza diffusa del “guadagno” in termini economici potrebbe finalmente segnare una svolta per andare in questa direzione.

    Purtroppo invece il dibattito a riguardo nel nostro Paese è ancora culturalmente molto arretrato.

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