• Il superamento dei CIE. L’esperienza di Torino

    In questi mesi, in qualità di consigliera regionale, ho cercato di effettuare un monitoraggio costante della situazione del Centro di Identificazione ed Espulsione di Torino. In questa ottica abbiamo visitato la struttura ogni mese. L’ultima volta che siamo entrati presso il CIE di corso Brunelleschi è stato venerdì 9 novembre 2012, a pochissimi giorni dalla pubblicazione di uno studio sulla struttura dell’Università Internazionale di Torino.
    Nel mese di ottobre 2012 gli ospiti presenti nel CIE di Torino sono stati 201. Complessivamente nel centro le presenze da quando esiste sono state 3213. Mediamente all’interno della struttura nel corso del mese sono stati presenti contemporaneamente 104 “ospiti” ad ottobre, con 96 ingressi e 100 uscite. I rimpatri sono stati 47.
    Nel momento in cui abbiamo visitato la struttura erano presenti 98 “ospiti”, 84 uomini e 14 donne, provenienti principalmente dal Marocco, dalla Nigeria e dalla Tunisia. Il 74% di questi risulta aver avuto precedenti penali. Questo è uno dei dati che continuiamo a riscontrare in tutte le visite, che testimonia come l’attuale sistema non stia funzionando, facendo di fatto scontare una doppia pena. In più, se anche si condividesse l’impostazione attuale, la bassa percentuale dei rimpatri dimostra che le cospicue risorse impiegate per la gestione di queste strutture hanno un ritorno di efficacia assolutamente insoddisfacente.
    Alcune anticipazioni dello studio dell’Università Internazionale di Torino sono state pubblicate sulle pagine locali di alcuni quotidiani nei giorni precedenti alla nostra visita al CIE destando preoccupazioni e polemiche: “Famiglie separate a forza, nessuna attività di lavoro o studio, nessun luogo di culto, convivenze difficili, prezzi inaccessibili: nel 2011 sono stati 156 i casi di autolesionismo”. Abbiamo chiesto conto di questi dati, durante la consueta riunione che effettuiamo prima del giro all’interno della struttura, anche perché ci sono sembrati per certi aspetti non corrispondenti alla situazione da noi rilevata nelle visite precedenti.
    I responsabili del centro e la Questura di Torino hanno voluto sottolineare come chi ha effettuato lo studio non abbia mai visitato la struttura, ma, a loro dire, si sia limitato ad alcune interviste telefoniche. Per onestà si deve sottolineare che il CIE a Torino è negli ultimi mesi accessibile su richiesta, senza particolari difficoltà per me e accompagnatori, ed è stato aperto anche a giornalisti. Nel merito delle questioni sollevate dallo studio ci è stato riferito che: gli ospiti ogni giorno ricevono 3.5 euro da spendere al market gestito dalla Croce Rossa, ente gestore della struttura, ed i prezzi variano anche in base alla marca del prodotto acquistato; in passato anche sugli organi di stampa locali si è parlato di diverse attività svolte all’interno del CIE tra cui pet therapy, ginnastica, ecc. Noi abbiamo potuto rilevare che gli uomini giocano a calcio, partecipando a tornei interni. All’interno della struttura è prevista una zona dedicata alle coppie che vengano rinchiuse contemporaneamente, nel caso citato dal giornale però ci è stato detto che quella struttura non fosse utilizzabile perché erano inagibili i servizi. Questo è quello che ci è stato riferito.
    Noi siamo convinti che queste strutture debbano essere superate perché nate in conseguenza ad una legge ingiusta ed incivile, perché sono luoghi di detenzione per persone che non hanno commesso alcun reato o che in ogni caso hanno già scontato la propria pena e perché, ammettendo anche che in alcuni casi ci possano essere degli sforzi per ridurre i disagi della detenzione come nel caso di Torino, rimangono strutture che non rispettano la dignità della persona. Non è una bella sensazione vedere alcune palazzine annerite, perché date precedentemente alle fiamme dagli “ospiti”.
    A Torino noi abbiamo potuto constatare una gestione del centro all’apparenza attenta, ma siamo convinti che queste professionalità che sono state in grado anche di stabilire un rapporto umano con gli ospiti debbano essere impiegate diversamente, con un’utilità maggiore per la comunità. I CIE non sono la soluzione, come non lo sono le sanatorie che hanno vincoli troppo stretti e rischiano di creare ulteriori sfruttamenti dell’individuo.
    La soluzione è una nuova legge sull’immigrazione in Italia volta all’inclusione ed all’inserimento sociale per chi giunge nel nostro Paese. Queste persone sono una risorsa per il nostro Paese e non meritano di essere trattate come schiavi. Non vanno tollerati, ma accolti.

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