• Linguaggio di genere e toponomastica femminile per affermare il ruolo delle donne

    Colmare i vuoti storico-culturali di genere raccontando nella quotidianità il ruolo che la donna ha avuto nella formazione della nostra società. È questo il percorso che dobbiamo compiere per abbattere il pensiero unico che ha voluto le donne ai margini della narrazione storica. Per farlo dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione: il linguaggio di genere e la toponomastica al femminile in primis.

    La settimana scorsa leggendo La Stampa di Torino mi sono sentita sollecitata dalla domanda che una lettrice di Specchio dei Tempi ha rivolto alla redazione: “Perché si è voluto forzare l’uso sgradevolissimo di alcune parole al femminile?“. Nel suo intervento la signora metteva in evidenza come, a suo avviso, parole come Sindaca o assessora avessero un “suono molto sgradevole”.

    Mi preme rispondere a questa lettrice de La Stampa perché è necessario chiarire un aspetto fondamentale che troppo spesso viene trascurato da chi affronta questo dibattito: il linguaggio di genere non è una questione estetica, ma di autorevolezza femminile. In che senso? Nel senso che molte donne da tempo si stanno impegnando per promuovere un cambiamento culturale necessario per la nostra società.

    Non è una questione di estetica perché altrimenti dovremmo fare a meno di quasi tutti i termini di lingua straniera che comunemente utilizziamo al posto di quelli italiani. La nostra è la lingua più bella al mondo, non avremmo alcuna necessità di importare linguaggi meno musicali quando in italiano ci sono tutte le parole e hanno un suono anche più armonico. Utilizziamo i termini stranieri perché sono utili a stare allineati con i sistemi internazionali la cui autorevolezza è indiscussa come nel campo dell’innovazione, dello sviluppo e della tecnologia.

    Allo stesso modo il linguaggio di genere è necessario per riconoscere la presenza femminile delle donne in posizioni chiave che da sempre sono di monopolio maschile. Si tratta dunque di uno strumento utile a contribuire all’affermazione dell’autorevolezza femminile. Allo stesso modo come i progetti di valorizzazione della “toponomastica femminile” servono a conferire legittimità al ruolo delle donne nella storia.

    Domani al Circolo dei Lettori di Torino parleremo di questo durante un convegno organizzato dall’Associazione Toponomastica femminile dal titolo “Un genere invisibile?”. L’Associazione Toponomastica femminile ha messo in evidenza il tema dell'”invisibilità” del genere femminile a livello toponomastico (le intitolazioni a donne di vie o piazze sono pochissime eppure le donne hanno fatto la storia come gli uomini), a livello linguistico, nella simbologia (vedi la segnaletica stradale) e nella genealogia (le donne hanno assunto automaticamente prima il nome del padre, poi quello del marito).

    Se tutto ciò non bastasse, a porre fine a un dibattito che sta diventando sempre più stucchevole dovrebbe bastare la posizione dell’Accademia della Crusca assunta nella Guida agli atti amministrativi del 2011 e ribadita in un comunicato del 2013: è corretto usare le parole chirurga, avvocata, architetta, magistrata, ministra, sindaca e, come è già accaduto per altri mestieri, con il tempo diventeranno linguaggio comune. La domanda è: perché infermiera, maestra, operaia, modella, cuoca, segretaria sono termini collettivamente accettati e quelli che rappresentano posizioni di prestigio vengono considerati sbagliati? La risposta ognuno di noi la conosce, ma la sussurra a bassa voce.

Commenti chiusi